Monocolture della mente è una delle opere più
importanti dell’attivista e ambientalista indiana Vandana Shiva. Le riflessioni
dell’autrice si sviluppano lungo cinque saggi: Monocolture della mente,
biodiversità: un punto di vista del Terzo Mondo; Biotecnologia e ambiente; I
semi e il filatoio. Sviluppo della tecnologia e conservazione della
biodiversità; La convenzione sulla biodiversità: una valutazione dal Terzo
Mondo.
Durante il percorso tracciato dai saggi, si
delinea l’essenza delle “monocolture delle mente”. Il testo parte dalla
diretta osservazione della Shiva, che ha avuto modo di verificare quali e
quanti danni apporti l’introduzione di alcune specie botaniche all’intero ecosistema
di un luogo o di un ambiente circoscritto. Un esempio è la massiccia diffusione
di piantagioni di eucalipto in India. Negli anni ’80 un programma di
forestazione sociale - tramite piantagioni di questo albero - promosso dalla
Banca Mondiale, ha causato l’impoverimento della diversità agricola, del suolo
e dell’acqua, della biomassa e del cibo del territorio. Nel 1983 un movimento
di contadini decise di sradicare le piante di eucalipto, sostituendole con semi
di albero del pane, tamarindo, mango.
Secondo l’autrice il progetto di
riforestazione era finalizzato all’introduzione della monocoltura e alla
conseguente distruzione della biodiversità, per poter ottenere un controllo
centralizzato sull’agricoltura e dunque avere potere decisionale in materia di agricoltura
e raccolti. Questa situazione di grave squilibrio viene acuita dall’introduzione
di biotecnologie e dalla rivoluzione genetica in corso.
Ciò che vuole mettere in evidenza Vandana Shiva in
questo testo è la doppia valenza distruttiva della monocoltura, e lo fa
tracciando con tratto deciso una linea che collega biodiversità e cultura. Ogni
elemento dell’ecosistema di una popolazione appartiene, infatti, anche alla sua
cultura; una cultura fatta di tempi, spazi e tradizioni ma anche di elementi
naturali, di alimenti, e, soprattutto, di unicità da preservare.
Con la lucidità che la contraddistingue, Vandana
Shiva si sofferma a descrivere anche gli svantaggi dal punto vista economico relativi all'introduzione delle monocolture. La standardizzazione dei processi agricoli
e l’omogeneizzazione delle specie comporta infatti una diminuzione della produttività
e delle rese agricole, in quanto si tratta di sistemi agricoli poveri, sia dal
punto vista quantitativo che da quello qualitativo. L’attivista indiana vuole suggerire, non troppo tra le righe, che il funzionamento delle cose in natura è
perfetto ed il tentativo di modificarlo è un “andare contro natura”. Da questa
riflessione approderà, dunque, ad un approfondito studio sulle biotecnologie e
i loro danni all’intero sistema agricolo del cosiddetto “Terzo Mondo”, piaga
dei poveri al centro dei suoi numerosi interventi e conferenze di denuncia in
giro per il mondo.
M.S. Veronica Artioli Barozzi - Carretto dei libri
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